In questo periodo che mai avremmo pensato di poter vivere, quasi che si fosse immuni alle catastrofi e alle epidemie, quasi che il fatto di vivere nella metà agiata del mondo ci progeggesse dal futuro incerto, siamo portati, nostro malgrado a riflettere sul dopo, su come affronteremo il post-coronavirus.
Grazie ai giornali, ai social media e alle TV siamo diventati “esperti” di contagi, ospedali, statistiche, prospettive, modelli di espansione, sistemi creativi per sopravvivere chiusi in casa e complotti internazionali. Si trovano argomentazioni e idee di ogni colore e forma, dalle più convincenti alle più strampalate (che spesso sono altrettanto convincenti delle informazini o fonti ufficiali).
Ma non trovo alcun riferimento fattivo, chiaro sul dopo-coronavirus.
Non siamo nati col coronavirus, alcuni di noi purtroppo ci moriranno o staranno molto male. Ma se non vogliamo che il coronavirus invece di fermarci in casa per un paio di mesi, ci impedisca di vivere per un futuro ben più lungo, dobbiamo riuscire a trovare all’interno di ognuno di noi una spinta per rialzarci, visto che la prospettiva che ci viene presentata è quella di un crash a più livelli. Di una frenata a livello internazionale dal punto di vista economico, pari solo alla crisi del 1929. Ci rifletto e penso che noi che facciamo marketing del vino e del cibo, promozione territoriale, ci troviamo di fronte ad uno scenario veramente sfidante.
Poi ricevo oggi un messaggio da un amico cinese: mi ha spedito 50 mascherine, che probabilmente si perderanno in Francia, dato che sono bloccate da due giorni al Charles De Gaulle a Parigi. Gli esprimo la mia preoccupazione in poche brevi parole e lui mi manda solo un messaggio: “It’s just a matter of time, it’s gonna be ok”. Mai avrei pensato che mi avrebbe consolato proprio un cinese, che scopro aver trascorso 50 giorni nell’epicentro del contagio, a fare il volontario per i suoi connazionali in difficoltà. Una persona che ho visto 3 volte in 6 anni e che spesso faccio fatica anche a capire. Di base, di fronte alle grandi tragedie, siamo tutti uguali.
Cercando ispirazione, qualche settimana fa ho letto una frase di Henry Ford, che ho annotato sull’agenda:” Le due cose più importanti non compaiono nel bilancio di un’impresa: la sua reputazione ed i suoi uomini”.
Probabilmente sono le stesse cose che fanno la differenza nella ripresa. L’aver lavorato bene prima della crisi, senza fottere per guadagnare, e avere una rete di persone brave, oltre che brave persone.
Noi andiamo avanti, lavoriamo ancora, comunichiamo per i nostri clienti, pensiamo al presente e pensiamo anche al futuro, trovando soluzioni che possano traghettare le realtà di oggi, nel domani, sicuramente ben diverso da quello a cui siamo stati abituati fino ad ora.