SMART WORKING: lavoro in atmosfera surreale. Per noi questa è la giusta definizione di smart working. Non si può sostituire il rapporto diretto e personale, non è possibile. Abbiamo spesso ragionato all’interno del nostro team su quanto, l’esperienza lock down e Covid19, abbiano stravolto la vita, i valori e le aspettative di tutti noi. Mai nessun evento, forse nemmeno una guerra mondiale, ha avuto tanto effetto a livello globale. Una pandemia, in un’era digitale, si è trasformata in pandemia mediatica, terrore diffuso, confusione e illusione.
Tra i nostri clienti le reazioni sono state tra le più disparate.
C’è chi è stato preso dal panico e dallo sconforto e non si rialza. Tira avanti cercando di limitare i danni e i contatti con le altre persone. A nostro parere questo tipo di atteggiamento, rispettabilissimo e comprensibile porta verso una sola direzione. E non è quella del rilancio aziendale.
C’è chi si è dato da fare, ha sviluppato l’home delivery, consegnando prodotti tutti i giorni della settimana. Ha mantenuto vivi i contatti, ha scoperto cosa significa Instagram e ha provato a parlare di sé sui social e via email, per spiegare il suo impegno e la sua passione. Due aziende agricole che conosciamo bene, hanno portato a casa grandi risultati, grandi fatiche anche, ma grandi risultati.
C’è chi si è congelato e ha atteso il 18 maggio con il telefono in mano, cercando di gestire gli aspetti finanziari tagliando il tagliabile. Probabilmente poteva permetterselo. Ora continua con atteggiamento da lock down. Il terrore ha spento molte scintille imprenditoriali.
A parte il constatare che ogni imprenditore ha reagito in base alla propria scala di priorità, alla propria stabilità economica e al proprio attaccamento alla sua azienda, ci siamo resi conto che molti dei valori che hanno portato avanti il business negli ultimi 30 anni devono essere rivisti anche alla luce di forze e dinamiche già in atto prima di gennaio 2020.
Less is more. Lo vediamo e lo sentiamo sempre di più. L’effetto Green (o Greta). La riscoperta dei luoghi a noi vicini. L’esplosione dell’e-commerce. La conferma dell’home delivery e delle vendite di prossimità. Il concetto di sosteniblità, non solo ambientale, ma sociale ed economica. Il vintage inteso come dare nuova vita ad oggetti che ad altri non servono più. Il passa parola (fisico e digitale). Gli influencer (veri e presunti tali).
Come districarsi in tutto ciò? Usando buon senso e collaborando con professionisti che usino etica nel business. Nonostante la roboante e confusa massa di informazioni che ci colpiscono tutti i giorni, riusciamo ancora ad intuire e percepire chi fa “le cose per bene”, chi si prende a cuore di noi e dei nostri progetti. Chi diventa partner stretto ed entra nella nostra catena dei valori (per citare il guru supremo Michael Porter) aiutandoci a trovare nuove strade, reinventare alcuni prodotti, tagliare quelli che non funzionano. Chi riesce a muoversi nel mondo dei finanziamenti e dell’innovazione, aiutandoci a reperire fondi. Ebbene questo genere di persone esiste, ed è in prima linea tutti i giorni.
Quindi per concludere e riassumere dovremo affrontare mercati più attenti e più preparati. Aprirci a nuovi costumi e usi di comunicazione, destinando la nostra attenzione non tanto a mondi lontani, quanto a paesi e comunità molto vicine. Dovremo puntare sulla nostra affidabilità e sul servizio che deve rimanere impeccabile. Dovremo inoltre riprendere in mano il Made in Italy fatto di prodotti veri, cultura, accoglienza, stile italiano. Anche tramite immagini, video, suoni e strumenti digitali. Un marketing del vino, marketing del cibo e del turismo che sappiano far sognare i nostri clienti potenziali, nella coscienza che se un vino, un cibo o una esperienza sono green, etiche e uniche, hanno maggiori possibilità di sfondare.
Tutto il marketing del vino, del cibo e del turismo deve puntare alla riconoscibilità alla de-commoditizzazione dei nostri prodotti italiani. Mozzarella non è sinonimo di formaggio rotondo bianco in acqua salata. Lambrusco non è vino rosso dolciastro con le bolle. Olio extravergine non è semifluido verde dall’odore acidulo e dal gusto neutro. Sono tutti prodotti della nostra storia, della nostra cultura. Ovvio che del concetto “rurale e artigianale” di alcuni prodotti si stanno impadronendo anche le grandi multinazionali. Ma se loro investono milioni di euro (e dollari) per far credere che un prodotto industriale venga dalla cucina della nonna, ogni produttore sincero e onestamente agricolo o tradizionale deve quantomeno spendere il suo tempo nello spiegare come fa a dare vita ai suoi gioielli enogastronomici.
Il marketing del cibo, del turismo e del vino saranno ancora di più sfidati, ma non è il momento di avere paura specie quando si ha in mano il patrimonio turistico ed enogastronomico più grande e ricco del mondo.